Spesso quando si pensa ad una cantante lirica, il pensiero corre subito verso l’immagine di una donna vecchio stile, un po’ in forma e, insomma, non esattamente moderna. Ci ricordiamo subito di Maria Callas, di Katia Ricciarelli e magari ignoriamo che ci sono molte ragazze che stanno proprio ora intraprendo questa carriera musicale. Una di questa è Lieta Naccari, cantante lirica soprano di origini Veneziane che sta dando lustro alla musica lirica italiana. Non solo, si può dire che Lieta sia una cantante cross mediale, poiché porta la sua voce di soprano non solo nei teatri, ma anche al cinema, in televisione e, perché no, anche in strada.
Ho scelto di portare la sua immagine qui sulle pagine di AB Style Magazine e di fare quattro chiacchiere con lei perché penso rappresenti un ottimo esempio di come lo stile sia un elemento pervasivo in tutte le professioni e ambiti delle nostre vite. Non solo perché Lieta è una cantante lirica e quindi, per tornare all’immaginario comune di cui sopra, va a braccetto con un concetto di eleganza. No, perché questa giovane cantante in realtà non si occupa solo di musica lirica. Per scoprire tutto non ti resta che leggere quest’intervista.
Lieta, cosa ti ha portata a scegliere di diventare una cantante lirica e qual è stato il tuo percorso?
Devi sapere che da bambina ho visto il film “La leggenda del pianista sull’oceano”, tratto dall’opera di Baricco, e mi sono innamorata del pianoforte. Da quel momento ho iniziato a studiarlo fino a che mia madre ha deciso di iscrivermi all’esame di ammissione al conservatorio. Sono passata e ho iniziato subito con la classe finale delle scuole medie. Non era una scuola come tutte le altre, perché noi frequentavamo al mattino e poi a metà mattinata andavamo in conservatorio. Quindi mi sono abituata a questi ritmi che ovviamente non ho ritrovato alle superiori dove, quindi, ho avuto qualche difficoltà a seguire pianoforte. Ecco perché dopo tre anni di superiori (e in totale circa sei di studio totale) ho deciso di abbandonare il pianoforte, perché ho capito che non era il mio strumento.
Non sarà certo terminato lì il tuo rapporto con la musica, vero?
Assolutamente no, la mia insegnante di pianoforte mi suggerì di provare a cantare a voce un pezzo che non riuscivo a fare al piano. Ho iniziato a canticchiarlo e lei si è innamorata! Ha voluto farmi sentire da un insegnante di canto che mi ha indicato subito di fare l’esame di ammissione per il canto. Quindi sono rientrata in conservatorio e da lì sono iniziati gli anni di studio intenso e, se vogliamo, più adulto della musica. Diciamo che è stato in quel momento che la strada da cantante lirica ha avuto il suo inizio.
Ho studiato cinque anni in conservatorio e infatti questi studi sono equipollenti ad una laurea magistrale. Ho finito il conservatorio molto giovane, a 22 anni, e ho deciso di frequentare l’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Si tratta di una sorta di masterclass, si chiama Opera Studio e all’epoca era seguita da Renata Scotto, una cantante lirica soprano di fama internazionale.
É stato lì che ho capito che nel mondo della lirica c’è una concorrenza veramente spietata ed io, in realtà, non sono mai stata una di quelle persone che sgomita per arrivare al suo obiettivo. In fondo io penso “Ma perché non può esserci posto per tutti? Ognuno con il proprio ruolo, con la propria voce”. Purtroppo, però, questo pensiero non è molto comune tra i cantanti lirici quindi mi ero affranta un po’ e quando sono tornata a Venezia ho deciso di laurearmi in Creatività e Design della Comunicazione. E devo dire che ho portato a casa con molta soddisfazione quest’esperienza. Ovviamente, però, la musica non poteva rimanere sopita per troppo tempo. Quindi ho trovato una nuova insegnante, Elisabetta Tandura, che mi stimola molto e che mi segue tuttora.
Canti solo musica lirica o possiamo sentirti anche in altre vesti?
In realtà quando cantavo da bambina, non lo facevo per diventare una cantante lirica, ma per fare la cantante pop. Mi immaginavo già una popstar, ma la realtà ovviamente non è quella. (Ride). Però, ecco, mi sono sempre piaciuti altri generi musicali come lo swing, il jazz e la Bossa Nova. Ho sempre spaziato tra diversi generi, mantenendo però il mio imprinting vocale un po’ liricheggiante. E, soprattutto nella realtà veneta, sto portando avanti il crossover pop lirico. Si chiama crossover proprio perché è un incontro tra generi musicali diversi. Ci sono già diversi esponenti di questo settore come Il Volo, Andrea Bocelli, Sarah Brightman o Josh Grobam, però qui in Italia sono pochi e ancora troppo riconosciuti come cantanti lirici puri.
Canti esclusivamente come solista o partecipi ad altri progetti?
In realtà proprio per quello che ti ho detto prima, ho deciso di prendere parte ad altri progetti. Quindi ho creato un ensamble che si chiama Musica in Frac: un duo con cui ho portato in giro per l’Italia musica in stile Trio Lescano e Quartetto Cetra. E poi sono riuscita a far conoscere il crossover grazie al film a cui ho preso parte di Antonello Belluco e che è appena uscito nelle sale, “Sulle mie spalle” (On my shoulders). Si tratta di un film storico religioso perché parla della vita di Padre Leopoldo Mandic, un prete di Padova molto attivo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il film mette in luce come Padre Leopoldo (tra l’altro divenuto poi Santo), aiutò alcune famiglie in difficoltà durante quel difficile e tragico periodo. Io mi sono occupata della colonna sonora del film, compreso il videoclip finale.
Raccontaci qualcosa del tuo debutto
Quello che considero il debutto con la D maiuscola è stato sul palco de La Fenice perché è un palco così importante che quando lo calchi hai davvero una grande responsabilità. Ed io ho vi sono salita non per un’opera lirica, ma per un evento che si chiama La Cavalchina che esisteva fino a qualche anno fa. Si tratta di un evento dedicato al carnevale celebrato con una cena di gala molto importante cui prendevano parte attori e personaggi del mondo dello spettacolo molto famosi e che ritiravano il premio della Cavalchina. Nell’anno in cui cantai io, il premio fu ritirato da Rufus Wainwright. Per darti un’idea, Elton John l’ha etichettato come uno dei migliori cantautori contemporanei, e si occupa di colonne sonore. Infatti è famoso per avere rifatto il brano “Hallelujah” di Leonard Cohen e Jeff Buckley per riproporlo nel film “Shrek” in versione molto melodica.
Rufus Wainwright non ha fatto solo pop, aveva creato un’intera opera lirica dal titolo “Prima Donna” ed io fui scelta per cantarne l’aria principale. Quest’esibizione sul palco de La Fenice è stata molto emozionante, credimi mi mancava il respiro. Ma in qualche modo sono stata rapita dagli affreschi del soffitto del teatro La Fenice e ad un certo punto era come se non ci fosse nessuno. Cantavo solo per quel soffitto, è stato molto speciale, anche se ovviamente stavo morendo dalla paura!
Tra i tuoi video troviamo una tua interpretazione di Moon River, celebre colonna sonora di Colazione da Tiffany. Audrey Hepburn è un’icona di stile, quanto credi sia importante questo aspetto per una cantante lirica?
Personalmente credo che lo stile sia abbastanza importante. Secondo me una persona dovrebbe essere sempre caratterizzata da qualcosa e lo stile è quello. Come in una grafica è importante il visual, lo stesso vale per una persona. Non solo l’estetica, ma anche il carattere lo dimostra. A me piace molto rappresentare l’immagine del mio nome, Lieta. Voglio quindi dar vita con il mio modo di fare e di comunicare al messaggio di non mollare mai, che ce la si può sempre fare.
Devi sapere che io faccio anche la vocal coach e trasmetto questo messaggio anche ai miei allievi. I giovani d’oggi sono tartassati da immagini sbagliate ed io cerco di mostrare ai loro occhi l’immagine di una ragazza che, pur non arrivando a livello di fama altissimi, è sempre riuscita a mantenersi con il suo lavoro di cantante lirica, portando avanti una passione un po’ fuori dall’ordinario. In fondo, la musica lirica non è proprio per tutti, può tranquillamente succedere che a un ragazzo giovane non interessi. Ecco, per me lo stile è molto importante per caratterizzare un artista.
Tra i tanti eventi cui hai preso parte sinora, ce n’è uno che ti è rimasto nel cuore?
Ti dico la verità, non uno in particolare. Nel senso che ogni evento è talmente diverso dagli altri che è impossibile non portare a casa qualcosa di bello – e ovviamente anche di brutto, allo stesso tempo. Però se provo a pensare alle emozioni più forti, ripenso a quando quest’inverno prima del lockdown ho cantato in Piazza San Marco a Venezia per il carnevale“. E qui trovi l’articolo sulla sua esibizione per la rievocazione storica di Atelier Nicolao. “Ho cantato per cinque giorni di fila per questi spettacoli carnevaleschi veneziani e mi è piaciuto molto perché penso che cantare per la propria città sia bellissimo. Adesso, anche solo se passeggio per Piazza San Marco mi sento orgogliosa perché penso “Io conosco questa piazza e sono una cittadina di questa città”. Poterci cantare e rappresentarla in qualche modo mi ha davvero aperto il cuore.
Teatro, cinema, musica un po’ ovunque. E la televisione?
Circa un anno fa sono stata chiamata da Fratelli di Crozza per cantare durante una puntata dedicata al triste fenomeno del “Me, too”. Sì, perché si era scoperto che anche il cantante lirico Placido Domingo aveva riservato delle attenzioni un po’ particolari alle sue colleghe. Maurizio Crozza, ovviamente in chiave comica, impersonificava Placido ed io dovevo fare una delle tante cantanti liriche in questione. E questa è stata una delle esperienze non solo più divertenti che abbia mai fatto, ma che mi ha anche fatto rivalutare positivamente il mondo della televisione. Perché avevo sempre sentito parlare di programmi televisivi truccati o con brutti meccanismi alle spalle, ma Crozza porta avanti questo show con un amore, con una dedizione e con un’onestà intellettuale davvero incredibili.
Qual è il sogno nel cassetto ora?
La prima cosa che vorrei è portare al successo un mio allievo. Mi piacerebbe quasi più che un mio allievo riuscisse ad arrivare a fare qualcosa di serio musicalmente, rispetto che se lo facessi io. Mi è sempre piaciuto molto insegnare, quindi riuscire a far esprimere un ragazzino, nonostante quello che c’è in giro adesso, per me rappresenterebbe una rivincita personale. In realtà una doppia rivincita: nei miei confronti e nei suoi.
Mentre per quanto riguarda me, mi piacerebbe far sentire di più questo crossover in Italia. Il mio sogno sarebbe riuscire ad essere un’esponente del crossover più riconosciuta a livello nazionale. Meglio ancora se riuscissi a portare questo genere discografico in televisione o nei teatri, in modo che sia anche più vicino ai ragazzini che ormai sono bombardati da musica che personalmente reputo oscena. Per non parlare dell’autotune che usano smodatamente pe regolare la voce. Ritengo ci sia proprio necessità che ascoltino cose belle e che non associno la lirica o il crossover a qualcosa di vecchio e noioso.
Per venire al mantra di questo magazine, lo stile: cosa significa per te avere stile?
Questa è una domanda proprio difficile. Per me lo stile è una caratterizzazione di sé che gli altri possono percepire, non solo visivamente, ma anche a pelle. Se io immagino Audrey Hepburn che citavi prima, è chiaro che posso dire che era una donna molto elegante. Ma il suo stile non stava solo nell’eleganza. Lei era piena di grazia in ogni cosa che faceva. Penso che lo stile si veda anche come ci muoviamo, come porgiamo lo sguardo da una parte, come muoviamo le mani, il nostro profumo, la nostra risata… Rappresenta proprio l’essenza di quella persona a 360 gradi.