Un approccio elegante, posato e mai urlato, accompagnato da un’appassionata intraprendenza e voglia di raggiungere la massima qualità della cucina e dell’esperienza che viene proposta nei suoi ristoranti, tra cui in particolare il D’O di Cornaredo vanta le Due Stelle Michelin. Sto parlando dello chef Davide Oldani, ideatore della cucina pop. Ecco la nostra intervista.
Davide Oldani, lo chef della “cucina pop”
Tu sei l’ideatore della “cucina pop”, ci racconti cosa significa?
Davide Oldani: si tratta di un’etichetta che ci siamo messi 21 anni fa quando aprimmo il primo ristorante. Dopo varie considerazioni, questa parola di tre lettere, pop, arrivò dopo un’intervista fatta con un ragazzo che, dopo avermi sentito parlare per un paio d’ore, mi disse che facevo una cucina popolare. Allora da quel “popolare”, è arrivato un termine più breve e più veloce da comunicare. Anche perchè il termine pop non significava proprio popolare, ma popolano. Racchiude, quindi, una cucina che s’identifica con il territorio, con gli ingredienti nel rispetto delle stagioni e dei maestri. Quindi, tutto questo messo assieme ha dato la cucina pop. Da lì, iniziai anch’io a documentarmi, a raffinare questo termine che, dopo una nouvelle cuisine ed una cucina destrutturata, c’era ancora un piccolo spazio per una nuova tipologia di cucina.
L’hai fatto un po’ tuo, alla fine.
Davide Oldani: sì, è stata un’idea nostra. Siamo partiti da lì e tutt’ora facciamo una cucina pop, ovviamente un po’ più evoluta, ma nello stile è ancora quella.
Il nuovo ristorante Olmo
Dicevi poco fa che hai iniziato con il primo ristorante, il D’O. Ma so che di recente hai aperto un nuovo ristorante, sempre nella stessa piazza della Chiesa, che si chiama Olmo. Com’è nata quest’iniziativa? Possiamo dire che hai fatto un borgo.
Davide Oldani: prima il ristorante D’O era accanto a questa bellissima piazza, con una chiesa del FAI e scavi romanici dentro ed un grandissimo olmo che è segno della frazione San Pietro all’Olmo. E lì abbiamo deciso, ormai dieci anni fa, di comprare una parte della piazza e da lì abbiamo iniziato un progetto nuovo, creando un borgo o, come dicono i francesi, un petit village. In questo borgo troviamo un po’ di gastronomia e un po’ di storia. La storia, ovviamente, la dà la chiesa del FAI con gli scavi romanici e le novità, sempre abbinate alla cultura del cibo, la dà il D’O da cui ci siamo guardati intorno per ampliare le nostre attività e poter coinvolgere i giovani che sono a lavorare con noi. Per cui da lì è nata l’idea di realizzare Olmo, questo ristorante un po’ più green, nei colori e nella sostanza. Nel menu troviamo comunque carne e pesce, ma in proporzioni limitate. Qui troviamo anche i tavoli che abbiamo fatto noi, con i quali possiamo fare anche un tavolo da 12 o 14, suddiviso su tre tavoli, che rappresentano una Pangea che ho disegnato io, che possono essere usati singolarmente o uniti per usare una grande tavola. E da lì, ci siamo guardati ulteriormente in giro, e abbiamo trovato un altro spazio di fronte per fare il “next door” che è il nostro laboratorio dove lavoriamo tutte le farine, sia per Olmo che per D’O, dai grissini ai lievitati.
Hai introdotto, in realtà, la prossima domanda perché ti vorrei chiedere di questo laboratorio dei lievitati perchè, tra l’altro, di recente al Duomo di Milano tu hai presentato il progetto D’Om de Milan che parla di ricerca, di tradizione e anche di milanesità. Ce ne parli?
Davide Oldani: D’Om de Milan mi fa sorridere perché probabilmente era già scritto tutto nel mio nome. Io mi chiamo Davide Maria Oldani, quindi girando un po’ le lettore viene fuori D’Om de Milan. Io sono milanese, un F205 per cui nato a Milano, e vissuto a Cornaredo. Con la Veneranda Fabbrica del Duomo è nata quest’idea di abbinare ciò che è bello, quindi parliamo della Cattedrale e di tutto ciò che vi sta intorno nella Piazza del Duomo, al buono. Quindi ho preso una ricetta classica milanese come il panettone e da lì sviluppare un progetto. Abbiamo fatto quattro biscotti, di cui uno molto innovativo al panettone, ed il cioccolato e questo panettone a lievitazione naturale ed una ricetta classica con arancio, cedro e uvetta.
Tra l’altro, se non ricordo male, li hai chiamati Bis-cotti perché invitano a fare il bis.
Davide Oldani: esatto, grazie per l’assist! Si chiama bis-cotto non dal doppiamente cotto ma dalla richiesta del bis per la bontà. L’idea filosofica e poetica era quella dell’uno tira l’altro.
Il modello di business di Davide Oldani studiato da Harvard
So che nel 2013 il tuo modello di business è stato oggetto di studio da parte di Harvard, sicuramente un grande successo! Ce ne parli un po’? Perché sicuramente non è da tutti.
Davide Oldani: è una cosa curiosa perché mi chiamarono alcuni professori universitari di Boston che avevano sentito parlare del ristorante D’O che riusciva a offrire grande qualità con accessibilità di prezzo. E da lì nacque la loro curiosità, vennero quattro volte per vedere, assaggiare e capire e io fui preso un po’ in contropiede perché per me era naturale che si servisse quel cibo a quel determinato prezzo nella stagione corretta. Evidentemente non lo era per gli altri, anche se comunque era capito perché il ristorante era, come lo è adesso, sempre completo. Era il mio modo di fare cucina propagandandola nella maniera corretta, loro si accorsero di questo piccolo “segreto” della qualità e prezzo per cui iniziarono a studiare come noi approcciavamo il mercato, quindi in un oceano azzurro e non in un oceano rosso. Oceano azzurro significa proporsi al mercato con un’idea che viene accettata per tale, non per un ribasso dei prezzi. Ci tengo a dire che ad Harvard siamo andati per spiegare il caso per due giorni ai corsisti dell’epoca come approccio al lavoro, più che alla buona cucina che dev’essere, ahimè, fatta. E quello che mi ha motivato più di tutto è stata la richiesta di dare questa sorta di ricetta per motivare i giovani ad approcciarsi al lavoro in una maniera più sostenibile.
Una sorta di ricetta all’imprenditorialità dei giovani, in un certo senso.
Davide Oldani: sì, diciamo così. Loro hanno tradotto con una parola molto grossa che è imprenditore, io sono più un artigiano intraprendente. Per cui è stato quello che mi ha fatto pensare che quello che stavamo facendo era utile sia per i nostri ospiti, sia per i ragazzi che volessero approcciare una tipologia di lavoro che è molto difficile. É molto bella, ma altrettanto difficile. E in quel caso arrivò al momento giusto perché ci fu proprio il cambiamento perché due anni dopo feci Expo con l’exploit di riso con questo format di riso, panettone e zafferano, tre ingredienti milanesi. E dopo di questo, nacque il nuovo D’O nella piazza.
La cucina sostenibile di Chef Oldani
Prima dicevi che parte del tuo modus operandi anche a livello di prezzo è il fatto di proporre determinati ingredienti a seconda della stagionalità e questo rientra nel concetto di cucina green, che è uno dei trend di questi anni. Quanto è veramente centrale?
Davide Oldani: credo che inconsciamente dall’educazione che riceviamo dalle nostre famiglie dovremmo avere dovremmo avere già una sorta di approccio che ora in inglese viene chiamato green. Di fatto si tratta di un approccio di educazione etico alla natura, al cibo e alle persone. In me era già insito perché mia mamma ha sempre cucinato e nutrito una famiglia con prodotti di grande qualità nella stagione corretta e con un prezzo accessibile. Perché la cosa bella è che se si comprano i prodotti nella loro stagione si ha un prezzo accesibile e si ha la grande qualità, quindi si può nutrire meglio le persone. Per cui non vedo perché si debba uscire dalla stagione per fare i fuochi d’artificio e non servire un prodotto buono. Credo sia nel nostro DNA italiano il fatto di seguire la stagione, così come il fatto di non comprare di più di quello che ti può servire, per il discorso degli scarti. Che poi noi, per una velocità di vita moderna, finisce che qualcosa ce lo lasciamo indietro e lo perdiamo è un altro discorso. Ma chi ha i piedi a terra e ha il suo DNA, il suo territorio, la sua cultura, secondo me questo non lo perde.
La passione per il design
Prima parlavi delle tavole che hai disegnato per Olmo. Com’è nata questa passione per il design e come si concretizza nei tuoi ristoranti?
Davide Oldani: ci tengo a precisare che non sono un designer. Io sono un cuoco che, evidentemente, da cuoco fa anche bene il mestiere perché è appassionato. Detto questo, mi piace avere una tavola composta, coordinata, rilassante per chi si siede. Quindi mi faccio delle mie idee, le cerco sul mercato, perché è la cosa più ovvia. Ormai googlando si può trovare qualsiasi cosa. E non trovando quello che è il mio spunto, approfondisco. Adesso con la tecnologia abbiamo un’opportunità grande di fare stampi 3D nel giro di pochissimo tempo. Per cui sfrutto pienamente questa tecnologia che mi porta poi ad avere degli oggetti che sono uniche, che sono studiate apposta per le persone che si siedono al D’O. E poi è capitato, ad esempio, coi tavoli ed i bicchieri di averli progettati per Cassina, o anche la lampadata progettata per Artemide ed i piatti per Kartell. Lavoriamo con grande brand che apprezzano il nostro approccio nel settare una tavola che sia moderna, ma altrettanto comoda.
Questa cosa è molto bella perché prima parlavi di una tavola che permetta di avere un’atmosfera rilassata e secondo me non è così scontato perché spesso nei ristoranti stellati c’è un po’ più la tendenza ad avere delle sovrastrutture che tendono ad allontanare il concetto di rilassamento a tavola.
Davide Oldani: è vero, ma dipende da come siamo noi predisposti quando andiamo in un ristorante stellato. Io credo che lì ci sia il massimo della qualità che si possa trovare, quindi a seconda di come noi ci approcciamo abbiamo un risultato finale. Io credo che la qualità del cibo e del servizio sia attualmente da guardare molto bene perché tutto quello che noi cerchiamo nella società, soprattutto dopo il Covid, è qualcosa di cucito su misura per ognuno di noi. E per avere questo bisogna cercare quei posti che estremamente la qualità alta.
Prima parlavamo di Natale, cosa dobbiamo aspettarci dalla tua cucina?
Davide Oldani: una felicità ed una voglia di andare a tavola, perché c’è sia la parte cibo sia l’altra parte molto importante della tavola. Vale a dire come sedersi e con chi sedersi. Credo che le nsotre feste, per tradizione, siano identificate anche in una religione. Quindi passerò le feste con le famiglia e con la voglia di cucinare, sempre con l’attenzione di fare una cucina ipersostenibile nella quantità, ma anche nelle quantità.
Ultima domanda di rito che faccio a tutti quelli che passano da AB Style Magazine: cos’è per te lo stile?
Davide Oldani: secondo me è un modo di essere, come uno nasce e come uno viene educato. La somma di queste due cose dà questa bella parola che è lo stile. C’è chi ce l’ha e chi no, però credo che l’eleganza, l’educazione, l’essere cortese con tutti a prescindere, debba essere l’ABC della vita. E se uno ha questo è già oltre il grande stile.